Lonigo, 02/10/2024
L’estensione del conflitto in medio oriente sembra giunta all’ora decisiva.
Lo sconfinamento delle truppe israeliane in Libano ha innescato una reazione da parte della repubblica islamica dell’Iran, ma questa è soltanto l’ultima di una serie ormai infinita di scenari di conflitto innescati tra le due potenze regionali.
Nonostante i vari conflitti (Siria, Yemen, Palestina, con il carico dello scenario del Mar Rosso)
ci vengano presentati come auto consistenti e radicati in zone geografiche ben delimitate sono, in realtà parte di un macro scenario che vede coinvolti nel conflitto Iran, con i suoi proxies, e Israele in vece degli Stati Uniti.
Il meccanismo di difesa invocato dagli israeliani il 7 ottobre di un anno fa, in realtà è solamente un annuncio in piazza che fa da preludio ad un coinvolgimento diretto e conclamato delle forze armate israeliane in conflitti diretti sul campo.
In pratica però a partire dalla Siria, passando per l’Iraq, lo Yemen lo stato di guerra delle famigerate Idf (forze di difesa?) dura ormai da parecchi anni.
Il quadro generale che si delinea nella regione è ben più preoccupante e contraddittorio di quanto possa sembrare.
Partiamo meramente da un elenco degli attori coinvolti nella zona per cercare di delineare le implicazioni soprattutto di carattere militare, commerciale ed economico che emergono.
In breve: Stati Uniti, Iran, Israele, Arabia Saudita, Siria, Hezbollah, Hamas, il Libano, Yemen, Houti.
Basta poi allargare di poco i confini della regione osservata per coinvolgere esplicitamente la Cina (base navale di Gibuti) e la Russia con la sua presenza in Africa diretta o tramite contractors di varia specie.
La retorica difensiva israeliana, mutuata da quella americana propone, come ormai da prassi nei cosiddetti conflitti moderni, una spersonalizzazione (snazionalizzazione) del conflitto stesso e quindi l’attacco verso i territori palestinesi non è più un attacco ma una difesa contro Hamas, l’invasione del Libano non è più un invasione (NDR che curiosamente coincide con le previsioni dell’UNESCO nel rapporto “The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind” in cui delineava il territorio oggetto del conflitto come un area “calda” per il controllo delle risorse idriche della zona) ma un disarmo di Hezbollah.
Quest’ultima azione tra le altre cose è stata perpetrata in aperta violazione della Risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la cui applicazione è garantita da un contingente armato (la missione delle forze UNIFIL schierate per verificare il ritiro delle truppe israeliane dal Libano) a partecipazione italiana.
Come sempre, e ormai ci si stanca nel ripeterlo, l’inazione delle potenze europee è assordante, autolesionista, e dimostra come persino la vecchia scuola diplomatica europea (italiana in particolare) abbia fatto ormai il proprio tempo, d’altronde quando non si hanno chiari i propri obiettivi od interessi (siano essi continentali o nazionali) viene difficile snocciolare una diplomazia in grado di gestire conflitti di proporzioni mondiali.
Non vogliamo però utilizzare il conflitto mediorientale come testa di ponte per criticare l’attuale sistema europeo, perché sarebbe troppo facile, ma stabilire una volta per tutte che il sovranismo in chiave continentale passa anche attraverso l’affermazione di una politica, militare e diplomatica, risoluta nei confronti dello scenario da guerra mondiale fin troppo vicino all’Europa e che il vero coraggio sarebbe, in primis, quello di riconoscere in chiave pubblica TUTTE le colpe dei succitati attori.
Senza timore che squilli qualche “cercapersone”.
Scomodamente.
Il portavoce
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L’Iran è un soggetto complesso sotto tutti i punti di vista, e tale complessità non è minimamente compresa nè considerata, da un’Europa ancora ferma a logiche non aderenti ai propri interessi, o che portino a una maggior chiarezza su cos’è veramente l’Iran, e cosa esso sia oggi, in un’epoca contraddistinta da cambi di paradigma serrati.
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